SULLA STRADA DEL RISO
Dove la campagna è piana, segnata da fiumi e da chilometri di canali, la coltivazione del riso ha radici antiche. Tutta la zona che si estende a sinistra del Mincio, da Roverbella a Mantova e ancora altrove, fino ad Ostiglia, verso le grandi valli veronesi è zona di risaie. Si coltiva il Vialone Nano (nome non dato a caso ma con una sua storia).
La coltura del riso risale all'epoca dei Gonzaga; le prime testimonianze risalgono a Federico II Gonzaga, ma è sua madre Isabella d'Este che divenne esportatrice importante di riso. Un documento ci racconta che nel 1529 aveva trasferito a Bologna "200 pesi di riso pilato e 60 di riso vestito". Lo esportava a Ferrara, a Milano.
La nuova coltura ben si prestava all'utilizzazione di terreni paludosi, con la presenza di molta acqua e di un clima umido. Con poca spesa si riusciva a sfamare una grande quantità di persone. Attenzione però: questi campi da riso dovevano stare fuori dalla città, almeno 5 miglia, perchè si sa, le risaie erano luoghi malsani! Tutto era pertanto soggetto a controlli e concessioni.
Serviva e serve tutt'oggi, tanta acqua, basti pensare che per produrre un Kg di riso servono 1.900 lt di acqua, mentre per produrre un Kg di patate ne servono 500, per un Kg di grano ne servono 900.
La nostra visita inizierà con una passeggiata in città toccando i luoghi di mercanti e mercati, ove si svolgeva lo scambio di merci, ovvero le piazze e il corso d'acqua! Si proseguirà, in pullman, o con mezzi propri, sulla strada del riso fino a Roncoferraro ove si trova una delle numerose corti rurali sparse nel territorio, composta da casa padronale, ali laterali, una vasta aia da riso, circondata da un fossato ove attraccavano le barche per il trasporto.
Qui si trova il monumento alla Mondina, figura legata al mondo della risicoltura, lavoro massacrante, esclusivamente femminile, che durava da maggio a luglio. Fortunatamente la tecnologia e le macchine hanno sostituito questo duro lavoro ma sono rimaste le storie, i racconti e le tante canzoni... "Siur padrun dali beli braghi bianchi, fora li palanchi, fora le palanchi..." sembra ancora di sentirla lungo i fossati, in campagna...
La visita terminerà alla Pila Il Galeotto, così chiamata per il suo fondatore. I vecchi macchinari ancora funzionanzti, con la preziosa ruota di legno mossa dall'acqua del Mincio della roggia Tartagliona, formano la parte museale dell'opificio. La parte adiacente la riseria è stata adibita ad agriturismo e, dopo aver assistito alle fasi di lavorazione del riso, ci attende un bel "risot con al puntel" accompagnato da un buon bicchiere di lambrusco mantovano.
Potete organizzare una visita con me contattandomi: +39 335 5722049 [email protected]
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